Chi l’avrebbe mai detto che sarei risalita su quel treno? Io no di certo. Sulla tratta Bologna-Roma in Frecciarossa pesava un macigno gosso quanto un’anguria. E invece ecco che mi tocca raccontare quello che è successo. E’ l’assurdo meccanismo del blog: non informi i lettori di un sacco di vita che ti succede in meno di un mese e ti senti in colpa. Per cui, cominciamo.
Domenica ero sul Frecciarossa perchè la mattina ero a Oporto (o Porto, che dir si voglia, ma fatemi fare la portoghese plis). Poi ero a Milano, poi a Bergamo poi a Verona. E poi sono arrivata a Roma. Viaggiare è bello sto mazzo, per dire. A Oporto ho fatto l’interprete di un tizio che chiameremo, con faciloneria, il Berlusconcino. Proveniente dalla provincia toscana, cerca manodopera brasiliana a prezzi contenuti. E così siamo partiti io, l’operaio portoghese e il Berlusconcino. Osserviamolo: bassotto, panciuto ma con la faccia da magro, le dita corte e tozze a cui mancano intorno solo i crauti e una pinta di Paulaner, un completo sartoriale di tartan con la cravatta uguale (ebbene sì, tartan. E se dico anche loden e montgomery ci mancano solo Arianna e Marco di College) e un orologio da seimila euro. Nella macchina coi sedili massaggianti gli siedo accanto: il tailleur grigio fumo [cit.], la camicia azzurra coi polsini e il collo alti, la borsa e le scarpe di vernice nera. Berlusconcino e bionda tettona al seguito: da manuale. Italiani nella giacca, nei capelli, nei gesti. Dietro siede Miguel: ventiquattrenne, un figlio di tre mesi. Fa questo lavoro tre settimane al mese in Italia e poi torna dalla moglie ventiduenne: bionda, occhi azzurri, tettona. Mi guarda e mi fa: "tàs parecida com a minha mulher. Se nao estava casado, jà casava" (cercatevelo su internet, voglio abusare del mio unico e misero potere linguistico oggi). Insomma arriviamo sopra Vila Real, io evito di sculettare anche se la mia gonna al ginocchio me lo chiede in tutte le lingue possibili sculettabili. Il meraviglioso ufficio di questo ometto che dobbiamo incontrare è un container in mezzo al fango, senza riscaldamento e in cui salta la luce ogni tre per due nanosecondi. Fumano un pacchetto di sigarette a testa (sono in tre, uomini, rozzi, esperti di pali della luce) e io sono generosamente allergica al fumo. Parlano di cose che io non capisco con linguaggio tecnico alternato a "metti sul quel cosa la cosa e poi lo cosi" che semplifica il mio lavoro di interprete. Divento un’interprete a gesti e con una certa noscialanza, nel frattempo, mi impuzzolisco. Scrocco una cena di baccalà e vado a letto in un motel con una faccia che neanche Brenda (perdonatemi, ogni tanto devo pur fare qualche rozzo riferimento all’attualità). Ma tutto questo è interessante? Nocchenonè interessante. Sarebbe molto meglio parlare delle mie colleghe di lavoro dei Parioli, quelle che "non si raccapricciano niente in questa lista di ecsel" o quelle che "che schifo un capello nero! sono allergica". Quasi tutte bionde più che degne del loro nome. Sfidano qualunque regola del senso pratico-logico-organizzativo nei loro Moncler, guardando in faccia ai Parioli con lo sgardo fiero di una pera williams. Ma siccome apro il blog dal lavoro, rischio che faccio na bella figur’e’mmerd. E quindi rimando a quando scade il mio contratto alla moda. E vi racconto del mio compleanno. Ebbene sì, ho compiuto ben tuentisics anni. E non è bello. Differenze tra un anno fa e adesso: un anno fa non ero masterizzata, mi ero tagliata la frangetta, pesavo più o meno uguale, non conoscevo un sacco di gente tipo GRGA, non avevo mai vissuto naa capitale, non mi venivano i sensi di colpa da mancato aggiornamento del blog perchè, semplicemente, non avevo un blog. Mi scoglionavo uguale, ma con un anno di meno. E soprattutto avevo passato la sera del mio compleanno in un bosco, ubriaca tegola, con una quindicina di amici. Ma quest’anno no. Quest’anno si lavora, si salta la pausa pranzo mangiando pizza unterrima ai carciofini davanti al pc e si esce dall’ufficio alle sette. Sono grande, devo lavorare, ho delle responsabilità. E il mio attuale spasimante ufficiale mi capisce, è grande anche lui, lavora anche lui, ha delle responsabilità anche lui. Quindi gli apro la porta senza essermi fatta la doccia, con i pantaloni della tuta delle medie e il dolcevita del lavoro, lo accolgo con un caloroso "sono stanca morta, che palle" e infilo in congelatore quel mezzo chilo del mio gelato preferito che mi ha portato. Gli avevo detto "non voglio niente, se ti va passa a trovarmi" e lui, come dice amica di Pendolo, è uno dei pochi uomini che ancora fa quello che dice una donna. Ma proprio col regalo di compleanno mi doveva ascoltare? E quindi gli faccio: aspettami, mi faccio una doccia, mi impigiamo e mangiamo qualcosa. E quindi torno in camera mia e trovo sul letto numero uno mazzi di fiori enormi composti di rose, gerbere e orchidee sui toni del rosa e del movv e, non bastasse, numero uno cofanetti di pregiatissime creme di Dior. State morendo, donne? Tranquille, è ovvio e naturale. E qui tutti diranno "ecco, Lafrangia s’è fidanzata e bla bla bla". Mabbè, ragazzi miei. Per fidanzarmi io ci vuole che ne so, per dire, che vada a casa di un tizio e che il tizio mi faccia "oh guarda, ho un piumino del letto nuovo" e io dica "ah fico -carezzando il piumino- mi sa che ti hanno lasciato l’antitaccheggio" e lui risponda "non so, controlla un po’" e io alzi le coperte e ci trovi una cosiddetta spasa di cioccolatini lindt rosa e tre rose rosa pallido. Per dire, eh.
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