SPACCO BOTTILIA IN GRANDE STILE – tra le pagine chiare e le pagine scure del commercio tra privati

“When I want a ridiculously extravagant pair of shoes,
I find a way to buy them.”
Carrie Bradshow – SATCH 

Ieri pomeriggio il cielo era plumbeo, l’aria carica di umidità e una temperatura ai limiti del paranormale lasciava presagire quello che poco dopo è diventato un acquazzone a gocce grosse. Stavo in ufficio e ripassavo mentalmente tutte le bestemmie che avrei proferito visto che non avevo l’ombrello, un solo pensiero mi rallegrava: la mia ultima mania.
Io ho manie perenni che scemano dopo 3 o massimo 30 giorni, la mia della settimana è l’app di e-commerce tra privati Shpock. Sarà che mi sono scambiata con una tizia di Pavia un abito di Zara per uno di Mint&Berry (nuovi, chiaramente, l’usato mi fa schifo), sarà che ci ho venduto una Liu-Jo orrenda che mi avevano regalato, non lo so, sarà quel che sarà, ma ora sono in fissa.
Pe falla corta e pe falla breve Shpock è un’applicazione del cellulare che funziona come un mercatino geolocalizzato: scatti la foto di una cosa che vuoi vendere, ci metti il prezzo e chi apre l’app nei tuoi dintorni vede il tuo oggetto in vendita. Si può contrattare in chat e ci sono un sacco di occasioni, è davvero molto intuitivo e molto gratis.
Nzomma vendo una borsa, un paio di scarpe e, per capire un po’ il livello del servizio, vedo se qualcuno mette in vendita anche marchi importanti: provo Furla, provo Michael Kors, provo Marni e infine provo Jimmy Choo.
Per chi non sapesse chi è Jimmy Choo, ecco due pratici consigli: fatti due domande sul significato della tua esistenza e poi guarda qui:

Trovandomi tra il meridiano e il parallelo della capitale della moda, chiaramente ci sono molte Choo in vendita, seleziono solo quelle del mio numero e chiedo alle venditrici se accettano scambi con qualche articolo della mia bacheca. Mi dicono pressoché tutte di no ma una si dice disponibile a contrattare, tra l’altro vende il modello che preferisco, uno iconico del marchio che, a listino, è prezzato quasi 700 euro. Vedo le foto della suola, le scarpe sono nuovissime ed evidentemente originali. Mi metto d’accordo con questa ragazza (che per comodità chiamerò Alina) per provare le scarpe, mi dà il suo indirizzo.
Alina vive in una cittadina dell’hinterland milanese di quelle che fanno rima con “pane e coltello”, uno di quei posti in cui hanno trovato una pentita di ndrangheta sciolta nell’acido, per dire.
Arrivo sotto la sua palazzina, 10 piani di klinker marrone, le mando un messaggio e klinkerscende a prendermi, mi dice che dobbiamo sbrigarci perché sta per andare ad una festa. E’ straniera, ha un accento dell’est, indossa una maglietta elasticizzata bianca e fuxia che le segna tutto, ha un bel viso e una bella pelle, dei pantaloni della tuta e sotto dei sandali bassi bianchi e oro, immancabile la borsa a tracolla tipo borsello. A che festa va conciata così? Mah.
Purtroppo mi sono fatta assalire dal pregiudizio e, quando Alina mi ha chiesto di seguirla in casa, ho un po’ temuto per la mia incolumità. Arriviamo all’ottavo piano, mi apre la porta sua madre, una donna gentile e malvestita come la figlia. La casa è anni 60-70, addobbata come una processione: i vasi coi fiori finti, le icone dietro al letto, la coperta patchwork con i volant. Tutto grida cattivo gusto e ciarpame, mi faccio due domande su come ci siano finite delle Jimmy Choo lì dentro, mi accomodo sul letto, e inizio a provarle: sono magnifiche e mi calzano a pennello.
Si consuma il seguente dialogo
F: mammamia che belle…
A: sì sono bellissime proprio, solo che io non posso portarle perché ho l’alluce valgo (come ti viene in mente di comprare delle scarpe con 9 cm di tacco a spillo se hai l’alluce valgo?)
F: ma le avevi comprate per il matrimonio?
A: no…no…così… (chi è che compra 700 euro di scarpe così, tanto per?)
F: belle veramente, per caso hai anche la scatola e la dust bag? (le scarpe di questo tipo hanno delle scatole grandi e dei sacchettini in raso o tela morbida per riporle con cura, n.d.a.)
A: eh no, io le scatole non le tengo mai…posso darti una scatola e un sacchetto di un altro paio… (non hai appena detto che non le tieni mai?) 
F: senti, ho deciso, le prendo…hai detto che per il prezzo facciamo TOT?
A: eh sì, va bene, meno di così non posso perché le ho pagate tanto…
F: sì sì , giusto, ma dove le hai comprate?
A: eh…(ridolini)...in un negozio…lontano lontano! lascia stare…

Ora, esiste la remota possibilità che questa ragazza con le sopracciglia ad ala di gabbiano che sfoggia un look da campo nomadi e vive una casa anni ’70 la sera si trasformi in una novella Carrie Bradshow ma, parliamoci chiaro, appare quantomeno improbabile. Lo so bene che non bisogna avere pregiudizi e che ci sono persone che preferiscono condurre un’esistenza modesta per poi concedersi dei lussi ma, onestamente, il contrasto tra quella casa e quelle scarpe è veramente forte.
I suoi piedi, seppur nei sandaletti bassi, sembrano davvero più lunghi del mio minuto 36 e tutto quello che la circonda non trasmette per niente la passione per l’alta moda, soprattutto quell’orrendo borsello a tracolla.
E chi è che terrebbe dei gioielli così in una scarpiera a caso senza nemmeno metterli in una bustina di raso?
I dubbi sulla provenienza di questi sandali, va detto per dovere di inchiesta, sono davvero molti.
Ma cos’è la ricettazione quando in cambio ti danno le scarpe?

MIE
Cara signora probabilmente derubata, sappi che li terrò come li avresti tenuti tu e li amerò come se fossero figli miei. 

 

 

 

Panza, cellulite, venuzze e compagnia briscola: prospettiva sull’estate 2017

Non sono come gli altri, sono sensibilissimo! 
Ti vedi brutta? Ti vedi grassa? 
Non ti preoccupare, ci vedi benissimo!
Bocciofili – Fedez feat Dargen D’Amico

The summer is crazy ma pure io ultimamente non scherzo, sarà il caldo micsato con la guaina contenitiva post operatoria, sarà dover fare la riverenza ai capi amerregani, non so.
guainaComunque un paio di settimane fa parlavo su Instagram (ebbene sì, si ciatta su pure lì) con un ex-molto-noto-blogger della prima ora che, a dieci anni di distanza, è ancora mio amico (qualcuno si ricorderà di Demonio Pellegrino, no?). E’ uno strano forte ma mi piace, penso che sia brillante e ha sempre una visione inaspettata sugli argomenti di cui discettiamo.
Nzomma partiamo da Fabri Fibra e poi inevitabilmente, come vecchi compagnucci di classe, facciamo un puntatone di Matricole&Meteore internet ediscion, informandoci a vicenda su che fine abbiano fatto tutti quella della nostra cricca ollain dell’epoca.
Quell’epoca era una decina di anni fa, i blog erano pochi e i blogger erano una comunità che – strignistrigni – girava sempre nelle stesse piazzette del web…nzomma ci splinderconoscevamo tutti e avevamo squadroni di antipatie e simpatie. Era prima di feisbuc, prima che qualcuno potesse pensare che coi blog ci si sarebbero fatti anche i soldi, prima della Ferragni, prima della Lucarelli e – venendo al punto – prima della bodypositivity.
Questo concetto che a molti non dirà niente è il figlio illegittimo di Instagram, è un rigurgito di rivendicazione della panza, delle smagliature, dei corpi prima di fotosciop, la rivoluzione in calzoncini nella repubblica delle immagini.
Nzomma i discorsi miei e dell’ex blogger di cui sopra saltano da un personaggio all’altro fino ad arrivare ad una tipa che, daje e daje, ha avuto la buona intuizione di riuscire a svoltare col suo blog e adesso ci campa. Massima stima tanto per lo spirito imprenditoriale quanto per la faccia da culo con cui si è riciclata.
Quella che era una giovane donna alta, bionda, col capello fluente, il fisico filiforme e migliaia di consigli da dispensare su come-dove-quando essere fighe in modo assurdo, su come preparare un bagaglio delle vacanze che possa assicurare autfit secsi per ogni occasione a Santorini, su come tenere un uomo ai tuoi piedi facendogli annusare qualcosa che sai già che non avrà mai, oggi è diventata una signora di 40 anni suonati.
Io l’ho seguita per un bel periodo, raccontava la sua vita luccicante come una Biasi bionda e con una carriera che andasse oltre le foto a chiappe di fuori, più cinica e più arguta. Poi me la sono persa per strada e l’ho ritrovata, dal nulla, su Instagram.
Lì, parbleu, lo sconcerto: quelle che erano gambe lunghe e magre con un culetto secco da francese spocchiosa sono diventati due jamon serrano stagionati male e con le vene varicose, l’amore che un tempo le strappava capelli setosi e dorati oggi si ritrova a frenarsi davanti a una ciospa informe di un rossiccio sbiadito con ricrescita su un caschetto ormai fuori forma. I look sofisticati hanno lasciato lo spazio a colorito spento e rossetti messi a pene di segugio che altro non fanno se non sottolineare un contorno occhi impietoso per l’età anagrafica, calzoncini di ginz che segnano e canotte che – con quelle braccia – di dignitoso hanno poco o nulla.

Ora, se essere fighe non è un dovere, conciarsi come Dior comanda magari invece sì. Non dico sempre, non dico in tiro ogni giorno come se fosse l’ultimo, ma almeno in linea di massima, chemmazzo, dai.
Io la capisco eh, questa tipa,  sono la prima a vedere i segni del tempo su quello che prima era un corpo attraente senza sforzo. Lo vedo bene che a 25 anni su 12 cm di tacco ci facevo 14 ore di balli sfrenati e ora, con gli anni di cristo, anche le ballerine mi fanno gonfiare le caviglie dopo mezza giornata d’ufficio.
Però, bella de casa, tu devi dire grazie al fatto che le tue seguaci non si ricordano da dove vieni, perchè c’è poco da fare la figa quando sei figa e fare la bodyposiguru quando Chronos si fa sentire nella gola e anche nel naso ma soprattutto sul girocoscia. Eh no, questo no, questo passare da maneater a #sonofigaeposso, perdoname, non ci sta.
Personalmente non sono mai stata una bella da copertina, non fosse altro che sono un metro e mezzo, ma tra le studentesse con la media alta sicuramente ero una delle più notevoli. Poi gli anni passano, il metabolismo invecchia e ci si affida alla sempiterna regola d’oro del PiùFI*, le chiappe sono meno toniche e così anche il contorno occhi, ma ci si veste meglio, si ha uno stile definito e la cosmesi non è più con i correttori di Kiko da 3euro e 99, il profumo è Chanel anche di mattina e  dove non si arriva turgide, si giunge consapevoli.
Detto questo, non è che siccome a me m’è sceso il culo allora Rosie rosieHuntinghton-Whiteley è più cretina di me eh. Lei è sempre più bona, e c’è poco da fare la bodyposicazzi, bisogna imparare ad accettarsi non ad adagiarsi crogiolandosi nell’idea che alla fine noi con la panza siamo più ganze; fermo restando il diritto di vestirci come ci pare, bisogna tenere a mente un caro vecchio adagio indifferente allo scorrere degli anni “se te entra non vor dì che te lo poi mette”.
E per favore, che nessuno tiri fuori Ashley Graham che è na figa senza senso,una donna di una bellezza rara che porta una ashley44 o una 46 su un metro e ottanta di altezza… quella non è sicurezza in sé, quello è culo di nascere bona come il pane e capacità di saper combinare questo fattore unitamente ai carboidrati in una professione altamente remunerativa.

Il mio proposito per l’estate 2017 è quindi questo: cercare di non prendermi troppo male se il costume non mi sta come vorrei (anche perché è improbabile che domani mi svegli a forma della Rosie di cui sopra e tutto il resto mi fa schifo) e scegliere un bichini che mi stia bene e che mi valorizzi le costosissime tette nuove di pacca.
Infine un’analisi rotonda e completa sulla bodypositivity: è una cazzata col botto.
E’ l’ennesimo movimento wannabe-anti-modelle senza senso, non serve una corrente di pensiero a botte di hashtag per motivarci ad essere semplicemente consapevoli, perché poi sta tutto lì, nell’essere convinte davvero che siamo più di un paio di cosce e delle braccia sottili, che abbiamo in noi una forma di fascino e di bellezza da poter valorizzare, che abbiamo il dovere verso noi stesse di sentirci meglio nonostante quattro buchetti di cellulite tanto quanto abbiamo il dovere di concederci una pizza con la burrata a settimana, se ci piace. A parole siamo tutte capaci a ripeterlo, tutte abbiamoclio condiviso il post di ClioMakeUp credendoci fortissimo ma solo fino a quando non ci siamo ritrovate nel camerino di Calzedonia con le luci impietose, soppesando concretamente l’idea di inventare una scusa per non andare in piscina.
Non è semplice, nemmeno per le più toste, nemmeno per quelle il cui lavoro non richiede manco un aspetto curato, nemmeno per quelle che hanno 3 lauree appese alla parete del salotto di nonna, non è facile per nessuna perché con l’idea di volere e dovere essere belle ci siamo cresciute.
La libertà di non essere perfette ce la dobbiamo concedere, però poi vediamo di non sbracare che tra “non perfetta” e “mi nonna in cariola” c’è una bella differenza.
Cerchiamo seriamente di accettare quello che non possiamo cambiare tipo Osho, poi tutto il resto però cambiamolo.
E mettetevi l’antirughe. Sempre.

* se non puoi essere più FIga sii più FIne

DAMMI DUE BOTTE, ALMENO AI VETRI

I più penseranno che su Parigi si sia già scritto tutto, e invece.

Ero convinta, convintissima, avevo iniziato a scrivermelo in testa in metropolitana, il mio bell’articolo sul femminismo.
Una congiuntura di fattori mi aveva portato a immaginare una serata da sola, visto che il Primate è all’estero, sul divano, visto che la signora delle pulizie ha sistemato i cuscini, con un bicchiere di vino bianco, visto che è venerdì, a scrivere su come si conciliano femminismo e chirurgia plastica, visto che sono uscita a pranzo con Teddi che- in fondo in fondo – si schifa che mi sia piegata ai canoni di bellezza vigenti.
Mi succede spesso quando parlo con Teddi, lui mi dice “non mi aspettavo che ti rifacessi” e a me scattano le madonne sul femminismo perché non mi devi mica giudicare, mi sento meglio con me stessa, ho diritto ad avere dei complessi mantenendo dei principi, migliorarsi non è mica snaturarsi e blablabla…ché alla fine il bocciodromo è mio e lo gestisco io.
Nzomma, volevo fare tutta sta bella disquisizione e avevo argomenti. Ma, c’è sempre una congiunzione avversativa, poi mi sono sentita con AmicoGaioLondinese che ora è AmicoGaioParigino.
Mi scrive perché, dopo anni, finalmente a giugno passa per Milano e ci rivediamo, ovviamente non vedo l’ora. AmicoGaioParigino ha una delle qualità che preferisco negli esseri umani: unisce un cinismo osceno a una grande sensibilità e alterna le due caratteristiche continuamente e senza preavviso.
Passerà per Milano, dicevo, perché vive all’estero da tanti anni e vede pochissimo la sua famiglia, così ha preso quest’abitudine di fare un viaggio in estate coi suoi genitori e quest’anno tocca al Giappone.
AmicoGaioParigino è alto, ha la faccia da ragazzino con la barba, occhiali stilosi, barbettina accennata, smilzo, pelle chiara, glabro e quando era ancora un suddito della Betty, si spaccava di palestra risultando così smilzo ma pompatello.
Ora anche lui lavora da QuelliTipoGugol e quindi fa i corsi di palestra in orario lavorativo.
Pe’ falla corta e pe’ falla breve, io volevo attaccare un pippone sul femminismo sul blog, ma poi c’è stata questa conversazione:
arin 1arin 2arin 3arin 4arin5arin 6

Morale della favola, sto sul divano con uno yogurt alla mela verde, i piedi gelidi e sta minchia di guaina che mi sega in due per la lunga, mortacci di tutti sti gancetti.
Però adesso so tutti dei membri filippini, e scusa se è poco.
E anche oggi la vita mi ha dato una grande lezione, ovvero che la geolocalizzazione del 2017 è “il mio amico ha detto che sei carino e ti vorrebbe conoscere” del 2001.

A BOCCE FERME: mastoplastica riduttiva – CHIRURGIA PLASTICA CAPITOLO 4

Passo le notti, nero e cristallo
A sceglier le carte che giocherei
A maledire certe domande
Che forse era meglio non farsi mai
E voglio un pensiero superficiale che renda la pelle splendida
Voglio una pelle splendida – Afterhours 

 

 

Sono tornata a casa ormai da qualche giorno, l’adieu alle bocce è stato fatto e sono una donna nuova. Meglio: un rottame nuovo.
E’ stato tutto più veloce del previsto e tutto molto pulp, sangue e merda, sangue e merda, pulp, molto pulp, pure troppo (cit. per pre-Millennials).
La mattina dell’operazione mi sono svegliata alle cinque e mezza, ho fatto la colazione dei campioni con 20 gocce di Valium e mi sono recata nella struttura ospedaliera.
Va detto chiaramente che io ho fatto questo intervento in solvenza, ovvero pagando un botto di sesterzi e non col sistema sanitario del BelPaese. Sembra un dettaglio ma, ovviamente, cambia tutto.
Nfatti arrivo in questa camera che sembra una lussuosa pensione di Rimini: TV 50 pollici con Sky e Sky Cinema, divanoletto bianco per gli ospiti, un libro di foto orrende in omaggio (scoprirò poi che sono le foto delle croste appese ai muri), letto elettrico di quelli che bzzzz ti alzi e bzzzz ti abbassi, pareti spatolate e menù a scelta.
Poi dopo un po’ arriva il Fortundrago con il metro e un pennarello e comincia a disegnarmi. Esattamente come succede in Dottor90210 e simili: mi misura la circonferenza dei capezzoli, traccia delle linee….stiamo lì una mezzora con me nuda in piedi davanti a questo manovale della ciccia seduto sul letto che mi conta i millimetri tra collo e ascelle e tutte altre robe che mai nella vita mi sarei misurata.
Mi sdraiano su una barella verde e giù, in sala operatoria. Nessuno è particolarmente gentile, fa freddo, poi – dopo il trauma da ago in vena – dormo.
Mi sveglio 7 ore dopo  con una specie di enorme corrugato che spara aria bollente addosso, mi vomito sui capelli e sbattendo un po’ ovunque con la barella, torno in camera.
Lì mi lamento a fasi alterne e dormo, non capisco nulla, so solo che 7 ore di tavolo di acciaio mi hanno sfondato la schiena ed è la cosa che mi fa più male in assoluto.
Mi ritrovo come una salsiccia con il budello in una guaina contenitiva antitrombi (in tutti i sensi, giuro) dalle ginocchia alle spalle. Un salamino di lycra nera.
Poi vedo una cosa pulp, molto pulp, decisamente troppo: dalle mie nuove minne pendono dei tubi che finiscono in dei contenitori a fisarmonica dove scorre sangue e liquido. Non pensavo ci fosse qualcosa che facesse più schifo del mio catetere.
Cominciano a venirmi le crisi di pianto, pare sia l’anestesia. Inizio ad osservare le dinamiche dell’ospedale: di mattina infermiere buone, gentili, belle. Di sera cerberi pazzi più o meno tutti thai che mi prospettano le peggiori tragedie.
Il mio spreferito è tale, giuro, Eisenhower (di nome): un filippino che quando gli dico che vorrei alzarmi per non fare le piaghe se ne parte con una roba che inizia con “così stimoli il sanguinamento” e finisce con “Ciiiiiiro figlio mio!” per quanto è tragica.
Poi c’è quella che attacca a mia madre le pippe su quanto siano disorganizzati perché lei avrebbe voluto portarmi il the molto prima eh, ma il dottore, ma la cucina, biowashball.
Poi c’è la mia preferita, infatti lavora di giorno, una ragazza pugliese bellissima e soprattutto sempre truccata di tutto punto e che profuma di vaniglia. Bella, dolce, gentile…col contratto in scadenza. Viva l’Italia.
Andare in ospedale in solvenza ti fa anche avere, oltre a una camera privata con bagno e TV reclinabile, un’infermiera che ti chiede se per merenda vuoi un gelato gusto fiordilatte senza lattosio della Cremeria. I soldi non fanno la felicità ma, nzomma, fanno almeno un gelatino e scusa se è poco. Ci mancava Guastardo con il suo “gradisce una mèla” e poi eravamo tutti (oggi m’è presa con MaiDireGoal, n.d.a.).
Arriva il giorno dopo Fortundrago e pensa bene di vedere se i drenaggi funzionano strizzandomi Wandina e Luisina con un energico popi-popi.
Calma, gesso, bestemmie e andiamo avanti.
Mi dimettono, esco dall’ospedale zoppicando e con dei grossi occhiali da sole retrò.
Mi porto a casa le polpose fatture, le guaine da indossare per un mese e mezzo e la notizia di non potermi fare la doccia per 3 settimane.
Vengono con me i drenaggi, li toglierò solo 4 giorni dopo di sofferenze pressoché atroci (i tagli non fanno nulla, ma provate ad avere addosso un coso di plastica compresso nella carne da un reggiseno con un elastico in tungsteno).
A VillaGatta, casa mia, dormo sul divano e guardo gli speciali su Leah Remini che esce da Scientology. Non mi lavo i capelli e dopo un po’ finisco a guardarmi allo specchio: sono in questa guaina aderentissima dal ginocchio fino a sotto il seno, strizzata sottovuoto con una sola apertura ovale nelle parti basse (la chiamano tecnincamente “igienica” ma a me me pare un po’ porno). Ho queste due bocce grosse e gonfie, toste, turgide, strizzate in un toppino scollato. I capelli lunghi, biondi, sciolti, unti e un po’ appiccicati di vomito, il colorito giallastro, le labbra esangui e tanti tanti tanti lividi sulle braccia.
Praticamente una puntata di CSI in cui trovano una playmate morta da 3 giorni.
The Lady In The Lake

10 DOMANDE SULLE MIE FUTURE TETTE – CHIRURGIA PLASTICA CAPITOLO 3

Sto per chiudere un grosso (molto grosso) capitolo della mia vita, quello di Frangia la tettona.
E’ abbastanza strano perché lo sono praticamente da circa 20 anni, e scusa se è poco.
Che lo voglia o no e per quanto lo abbia detestato, il mio seno è una delle mie 5 caratteristiche principali (insieme a un forte accento umbro, un senso dell’umorismo che scansate, due splendidi occhi verdi perennemente a forma di rana e qualcosa che ora non mi viene in mente).
Dunque, alla vigilia dell’antivigilia del mio intervento, ci sono una decina di quesiti che mi tormentano:

10) Quanto mi farà male una volta svegliata in una scala da uno a Germano Mosconi?

9) Potrei anche io diventare dipendente dagli antidolorifici come una vera diva di Holliwood?

8) Ma una terza, in realtà, è troppo piccola? Sono pronta ad avere delle “tettine”?

7) Gli uomini cominceranno davvero a guardarmi prima in faccia? Questo implica una maggiore cura della pelle obbligatoria?

6) Come mi staranno tutti i miei attuali vestiti?

5) Se tanto mi dà tanto, al diminuire della sporgenza delle tette, aumenterà la sporgenza della panza?

4) Quanti soldi spenderò in costumi da Calzedonia in una scala da zero a Elisabetta Gregoraci?

3) C’è davvero vita senza mal di schiena?

2) Esisterà un’Anonima Tettone a cui donare tutti i miei costosissimi e antisessissimi paracadute?

Ma soprattutto…

1)  Avrò mica la sindrome delle tette fantasma dopo?

 

A LITTLE PARTY NEVER KILLED NOBODY – CHIRURGIA PLASTICA CAPITOLO 2

See your iPhone camera flashin’
Please step back, it’s my style you’re crampin’
“You here for long?” Oh no, I’m just passin’
“Do you wanna drink?” No, thanks for askin’
Jax Jones ft. Raye – You don’t know me 

Some people live for the fortune, io vivo per le mie tette. Almeno questo mese. E almeno per quelli a venire in cui mi troverò ad affrontare il conto in banca ingrugnito e scontroso. Chissà come si divertirà il mio dottore a forma di Fortundrago alle Seiscel.
Alla fine ho scelto, mi opererà Fortundrago e la sua echip, starò sotto i ferri dalle 4 alle 6 ore e, se ne uscirò viva, avrò il seno più piccolo, più alto, più stagliuzzato e soprattutto più leggero.
Ci sono voluti anni per decidermi, poi una volta fatto nel giro di un mese ho fissato tutto, soprattutto il soffitto di notte nel terrore più assoluto di morire.
Nzomma esattamente tra una settimana sarà la vigilia della mia operazione di chirurgia plastica, sembro quasi figa quando la butto così, come una soubrettina qualunque.
Ma la verità è che c’è stato un momento in cui le mie gemellone sono passate dall’essere due gran belle tette a due grosse mammelle. E’ stato inaccettabile.
Ho annunciato la cosa a parenti e amici, ho visto teste scuotersi in senso di disperazione  o disapprovazione, ho visto Professò con le lacrime agli occhi chiedermi perché volessi fare una cosa del genere, ho visto Primate preoccupato, ho sentito Genitrice scervellarsi su come fare a venire a Milano “così ti pulisco casa mentre stai male”, ho visto imbecilli che pensano in grande e ho visto un elefante [cit.].
Ma poi, soprattutto, ho visto le mie amiche, vecchie e nuove, organizzare quella che sembrava una qualsiasi cena con brindisi alla Wanda e alla Luisa e che si è trasformata in un evento con tanto di gadget, logo dedicato, immagine coordinata e abbigliamento a tema.

Ed è così che siamo partite, armata Brancamenta, alla volta di una burgheria vegana: io, AmicaUmbra, la tipa di Professò con la sua terza coppa B, Mutismo – una mia collega bona e completamente muta, Tunnel – esce a festeggiare per sentirsi la più triste del locale, Mun con le sue zinnette piccole ma sode sode, LaNoisette con la frezza celeste acqua, IngegnerBlondie – 37 e dimostrarne 25 con classe ed io.
Decidiamo che essendo venerdì dobbiamo andare a ballare come se fossimo giovani, ed è così che finiamo a tornare in taxi alle sei di mattina anche se non siamo sbronze, solo perché siamo grandi e ormai 40 carte di taxi non sono più un dramma, viva i lussi che arrivano con le prime rughe.
La meta del dopocena è una festa anni Novanta in un noto locale milanese. Arriviamo in scarpe da ginnastica, vestite più o meno come le BWitched, pantaloni di pelle, maglietta di Harvard e camicia a quadri del Primate, capelli in due codini, rossetto mattone, borsetta a tracolla, ginlemon nel fegato e Haddaway nelle orecchie. Inutile dire che io e AmicaUmbra sembravamo due tarantolate, divise tra cantare a squarciagola gli 883 e ballare facendo la mossa del lazo sulle canzoni dei Cartoons.
La cosa più interessante è stata osservare la fauna che popolava il locale, abbiamo tutti qualche anno in più dei Millennials, nessuna porta i tacchi perché siamo qui per divertirci e non per fare le splendide, sappiamo tutte le canzoni e non ci vergogniamo a cantarle ma soprattutto siamo uniti da un inspiegabile senso di fraternità, una nostalgia dei tempi che furono, quando ancora si andava a ballare di sabato perché il giorno dopo non c’erano né pranzi dai suoceri, né spese all’Esselunga, né cambi gomme dell’auto familiare.
Sui maxischermi passano i video di Gala, Backstreet Boys, Shania Twain e noi balliamo balliamo e balliamo. Siamo tutti mediamente bruttarelli ma anche spigliati, uno accanto a me è in giacca e barba, tiene in mano lo stesso ginlemon per tutta la sera e non balla mai, faccia contrita come stesse ascoltando Shostakovic. Un altro, a cui evidentemente piace proprio parecchio il negroni, fa il microfonista, canta tutti i testi, li interpreta con convinzione e trasporto, impugna il suo microfono di plastica forzutamente, non se ne perde una.
Peccato che il microfono fosse un grosso pene di gomma rosa.
Ti ricorderò per sempre microfonista, soprattutto quando ti sei messo sto coso in testa con un elastico, trasformandoti in un unicorno birichino. Avremmo potuto essere grandi amici se solo anche io fossi stata sbronza marcia. E invece.
Invece con l’età e con questi cinque chili in più, 3 bicchieri di vino e due ginlemon mi passano lisci come fosse acqua tipiedina alle terme.
Continuiamo a ballare, io, AmicaUmbra e IngegnerBlondie, intanto Mutismo sgambetta seria seria e Tunnel si angoscia e mi fa domande sui colleghi, sul lavoro, sulla vita. Io però ho deciso che nessuno intaccherà la mia voglia di ballare per l’ultima volta con le gemellone, continuo come se non mi facesse male nulla nelle mie scarpine da tennis ormai incollate al suolo lercio marcio di quelli che voglio credere siano Invisibile, Angelo Azzurro, B52 e tanti altri drink degli anni Novanta.
Un grande abbraccio collettivo sulle note di Come Mai, mentre dal soffitto pendono dei GameBoy di cartone e dei grossi grossi grossi Nokia3210.
Finisco un altro bicchiere e noto un belloccio che sarebbe perfetto per IngegnerBlondie, anche se a lei piacciono 27enni e palestrati. Ma nzomma a na certa bisogna anche tentare di uscire coi coetanei. Quindi entro in mentalità adulta e matura e gli tiro un cubetto di ghiaccio mentre i Vengaboys spaccano le casse. Questo, negli anni Novanta poteva solo voler dire “se vieni e mi chiedi come mi chiamo pomiciamo come se non ci fosse un domani”.
Nella mia granitica convinzione, quindi, lancio il cubetto incriminato e mi giro verso le amiche. Io, novella Natalia Aspesi delle serate coatte.
Così questo dopo un po’ si avvicina e parla con IngegnerBlondie. E tutti ci aspetteremmo che lui abbia colto la scusa almeno per offrirle da bere. E invece le fa la ramanzina sul fatto che il ghiaccio non si lancia. Invecchiando, rincoglionendo.

Facciamo chiusura, arriviamo ai Linkin Park e decidiamo che s’è fatta na certa. La nostra incursione nei tempi d’oro è finita e da domani si tornerà al cantautorato, i capelli abboccolati a dovere, il trucco ben fatto e le responsabilità.

Gli N*Sync, i Five, Britney e X-Tina hanno fatto da colonna sonora alla mia vita con le gemellone, è giusto che questo capitolo si concluda come è iniziato ai tempi del mio sviluppo in seconda media.

Addio reggiseni a paracadute, addio magliette accollate, addio costumi da bagno improbabili, addio alle misure WonderWoman, addio all’immagine di me che ho avuto per tutti questi anni.
Sto mettendo fine ad un’epoca, sono terrorizzata ed elettrizzata.

Qui mi scrivo la storia.

 

QUALCUNO NORMALE – Chirurgia plastica capitolo 1

Qualcuno mi dica che tutto questo è normale
Tutto questo è normale, tutto questo è normale
Lavori una vita ma tutto questo è normale
Non c’è via di uscita ma tutto questo è normale
La gente è impazzita ma tutto questo è normale
Tutto questo è normale, tutto questo è normale
Qualcuno normale – Fabri Fibra e Marracash

Finisco sempre col domandarmi se alla fine il problema sono io, perché sinceramente non mi pare normale collezionare un caso umano dopo l’altro in ogni singolo settore della mia esistenza. Passi per gli amici ché alla fine magari sono simili a me, passi per i colleghi ché alla fine ti si accozzano, passi per il familiari ché non te li scegli. Ma io c’ho pure la barista del bar sotto l’ufficio che è problematica.
Nzomma, devo subire un intervento di chirurgia plastica. Chissà se un giorno approfondirò questo argomento.
Comincio a cercare dei chirurghi che, si sa, la selezione del fornitore per un grande evento è pressoché tutto. E un chirurgo plastico a Milano è come cercà Maria pe Roma.
Cerco tramite pareri di gente che conosco, tramite suggerimenti di amici di amici e poi ovviamente uso anche internet. Ma come faceva la gente a trovarsi i clienti prima di internet? Continuo a non trovare risposta.
Incontro di tutto, ma di tutto tutto: siti di chirurghi con in bella vista due tettone in un reggiseno fuxia di pizzo, culi di marmo di ogni foggia, nasi di ogni forma e colore…ce n’è per un intero freak show.
I punti in comune tra tutte le offerte sono essenzialmente tre:
– l’assoluta vanità del chirurgo
– l’assoluta assenza di pori della pelle da qualunque foto
– l’assoluta insensatezza degli slogan dei dottori, tipo:
bellezza unica

Ma che significa? No veramente, che vuol dire in italiano sta roba?
Poi ci sono proposte di interventi che, per usare un eufemismo, fanno sorridere:
FILO CHE SOLLEVA
Questo è “il filo che solleva” il culo. Bi ap. Invero le foto del sollevamento devo dire che sono molto convincenti.
Vabbè, fatto sta che contatto una serie di medici. Contatto anche quello che ha rifatto lezzise a Belen. Mi scontro con segretarie in assetto da guerra che non sono disposte a darmi un appuntamento prima di Luglio di un anno non ben specificato, altre che penso vengano da un corso di formazione della Worwerk perché insistono per avermi in studio più di un venditore del folletto.
Alla fine scelgo un tipo, la cui PR (sì, molti chirurghi hanno qualcuno che cura loro le relazioni pubbliche) firma qualunque cose con un hashtag. E l’hashtag è #labossdelletette.
Vado da questo dottore un pomeriggio tardo, è vicino all’ufficio e lui si è detto molto disponibile a un’operazione a breve come da mie esigenze.
Mi accomodo in sala d’attesa e vedo gente girare con in mano fari, telecamere, cose.
Vicino a me c’è una con il presunto ragazzo che passa il tempo a guardare il cellulare e dire: “nooooo, hai visto amo???? è morto Notorious BIG, quanto mi dispiace! Mi piaceva un casino, cioè è un rapper fighissimo, chissà come è morto…nooooo, che dispiacere!”.
Vaglielo a spiegare che era il ventesimo anniversario della morte del suo – a quanto pare – rapper prefe.
Nzomma , con quaranta minuti di ritardo mi riceve il dottore, mi fa scendere in una stanza sottoterra e mi prende delle misure, mi spiega un po’ e mi fa un preventivo pressoché stellare.
A quel punto gli chiedo come mai ci fosse tutta quella gente in giro per lo studio, stavano forse ristrutturando?
No. No no. Stanno facendo un reality. Il dottore è il protagonista di un web reality sulla chirurgia plastica con tanto di provini via web per le possibili candidate.
Vabbè dai, è il duemiladiciassette, magari è un modo per farsi pubblicità e poi vai a capire, magari è famoso, chissà, dev’essere bravo, forse.
Passano i giorni e io contatto altri dottori ma intanto mi porto avanti e comincio ad effettuare le analisi preparatorie preoperatorie di rutìn.
Uno di questi esami è un’ecografia dell’addome. Vado in un noto centro medico milanese accanto all’ufficio per velocizzare, mi metto in coda alla casa automatica e poi sento chiamare: “Signora Liscia? Prego!”, raccatto borsa e cappotto e mi avvio allo studio.
Ad aprirmi la porta c’è questo essere che chiameremo Dottor Full Monty: bono ma bono. Ma ragazzi, ma bono veramente. Non è minimamente il mio genere (in fin dei conti mi piacciono con la panza e la barba) però è innegabilmente un bellissimo uomo. Altezza media, capello pettinatissimo un filo tamarro, mento e zigomo scolpitissimi, dentatura in ceramica, i pettorali che si vedono dal camice.
Ovviamente l’ho guglato ed eccolo qui:
dottoreScoprirò durante il mio percorso di stolching che è quello che ha spunturinato la bocca alla futura lider di CasaPound (CasaPound MERDA sempre, n.d.a.).

Sinceramente ho pensato a una chendid camera, mi sono detta “vedrai che mo questo comincia a spogliarsi o mi dice di essere un tronista di Lady Mary”.
Nvece no.
“prego si sdrai, sollevi la maglia, abbassi l’allacciatura della gonna” e via di gel e di manopola. Il braccio muscoloso che si muove mostrando un bicipite che sa cosa sia un bilanciere, lo sguardo perfettamente disteso rivolto al monitor.
“trattenga il respiro e tiri indietro la pancia” abbello, da mo che sto tirando indietro la pancia!

E gira gira con la manopola, mi inzacchera tutta la camicia, un casino. Continua e poi, Dottor FullMonty schiude la sua bocca perfettamente simmetrica e pronuncia con decisione “ha l’intestino pieno pieno pieno di gas!”

Dottò che faccio, rilascio?