ASTENERSI BUONISTI – il mio sguardo insofferente al mondo del lavoro

Durante le 8 ore tenedenti alle 11 di lavoro quotidiano ho sempre aperta la finestrella di gimeil.
Lì, tramite la ciattina di gogòl mi tengo sempre in contatto con AmicaUmbra, ci scambiamo linc scemi o ci chiediamo come va. Nzomma, prima vivevamo insieme e questo accadeva la sera davanti a una tisana, ora che siamo diventate signorine grandi manteniamo questa costanza così.
Noi siamo due del centro Italia che hanno trovato lavoro senza spinte nella Milano già bevuta dei giorni nostri, ci siamo barcamenate in professioni più o meno adatte a noi e siamo giunte ad avere, tra un sospiro e l’altro, lo stipendio a fine mese. Io ho avuto modo di mantenere lo stesso lavoro dal mio trasferimento, faccio la balia di The President un riccone (chissà per quanto ancora) che s’è comprato un’azienda e gioca a farla fallire. Sta ottenendo risultati strabilianti.
Il mio lavoro inizialmente mi piaceva abbastanza, bella gente e bei discorsi, tanto francese, tanta Cote d’Azur, tante traduzioni legali…insomma, un bel modo per rispolverare la laurea unito a quell’aurea di intoccabile che solo essere il braccio destro di qualcuno di potente sa darti.
Non è il massimo? Lo so bene, io adoravo il mio lavoro di Roma, mi coinvolgeva e faceva innervosire, mi sfiniva e dava soddisfazioni e, per quanto qui sia tutto diverso, ho sempre cercato il buono di un posto di lavoro di alto profilo e relativamente affidabile, di un contratto lungo addirittura 12 mesi e con i bonifici di stipendio addirittura tutti i mesi.
Dentro di me ho sempre covato l’idea e l’aspirazione e la speranza di tornare a lavorare in comunicazione,  di fare quello che mi viene meglio e in cui mi sento a mio agio: mettere un tailleur e intrattenere relazioni istituzionali, elargire sorrisi anche con le vesciche sotto a piedi, ingozzarmi di nascosto di roba di catering di primo livello, guardare da vicino un mondo che più conosci e meglio lo eviti.
A contatto coi Signori della Guerra ho visto sta gente che mi ha fatto spesso -sempre?-  schifo, La Russa per dirne uno, gente che dall’alto dei suoi premi di produzione trimestrali da novantamila euro, veniva a piangere miseria con me perché le sue azioni del Palazzo delle Guerra avevano perso valore. Genitrice una volta mi disse “ma non ti viene di mandarli a fanculo?” eccerto che mi veniva e mi viene tutt’ora, ma ho elaborato un distacco chirurgico, ho visto davvero la decadenza putrefatta che c’è dietro tutte queste storie di soldi a palate. Dopo aver invidiato l’autista e le quattro carte di credito per dieci minuti buoni ho scovato il referto di tentato suicidio della figlia diciottenne, dopo aver sbavato sulla barca nel porticciolo di Cannes ho visto lo status di uozzap della ragazzina dodicenne col padre al terzo matrimonio “odio tutti”. Insomma se quella montagna di presunta bella vita, senza eccezioni, l’ho sempre beccata a doppio filo con qualche voragine sul dramma personale.
Sono come i cinesi, dico sempre, sono semplicemente molto diversi da noi ma non ci scambierei manco un’unghia.
Ma se pensate che questo sia un modo lungo e giracheterigira di dire “meglio nascere fortunati che ricchi” o solo “i soldi non fanno la felicità” beh, fermi tutti, non è come sembra caro!
Io sti mondi li osservo per lavoro e, onestamente, fare comunicazione con tanti soldi è stato bellissimo. Vogliamo mettere fontane di cioccolato alte tre metri? Mettiamole. Vogliamo mangiare al Savini in galleria a Milano? Prenotiamo. Vogliamo offrire i biglietti della prima alla Scala? Offriamoli e già che ci siamo sponsorizziamo un fantastico museo d’arte moderna.
Tutto ciò è stato semplicemente divino, soddisfacente, grandioso, divertente e clamorosamente sulle spalle dei contribuenti.
Ora no.
L’amore che strappa i capelli è finito oramai [cit.] e sono qui, in un’azienda che dovrebbe produrre prodotti che non produce comprando materiali da fornitori che non paga per vendere i suddetti prodotti a clienti che non comprano e, quando comprano, non ricevono la merce. Tutto questo, in one word: la crisi, beh, mi fa cagare.
Mi fa schifo, mi annoia, mi stressa di quello che stress che ti fa venire voglia di ammazzarti e zero adrenalina.
Mi chiamano sti poracci per il saldo di fatture da 400 pidocchiosissimi euro, mi chiama quell’altro che ha comprato una felpa cambogiana da cinquanta pidocchiosi euro e siccome non gli è arrivata allora pensa di potermi dire che io non capisco quanto sia grave. Mi arrivano email di gente che dice di citare personalmente in tribunale me, Lafrangia Liscia, perchè pare una volta j’ho risposto al telefono e detto di chiamare l’amministrazione e allora sono cattiva e metteteme dentro e buttate le chiavi.
Mi chiama un birraio artigianale a dirmi che per l’evento vuole mille miseri euro per la fornitura e devo rispondergli che è troppo. Troppo? Ma se na cena tra quattro stronzi che siamo io, il Primate, AmicaUmbra e Altissimo ne spendiamo 60 di Falanghina? Io non ho davvero parole.
E poi c’è un altro aspetto: gli annunci di lavoro. Ogni volta che ne pubblico uno ricevo 200 o 300 cv in meno di 24 ore ed è avvilente. E’ la prova provata che devo anche dire grazie e sissignore perché almeno io uno straccio di lavoro ce l’ho. E comincio a ricevere telefonate su telefonate di persone della mia età o anche più grandi che dicono “io ho bisogno, ho un bambino, vengo anche per poco” e, siccome non sono una bestia, cerco sempre di dare una spiegazione con tono carino, di essere sincera, di svicolare un po’ dalle direttive per cui “se li volemo li chiamamo noi” e “le faremo sapere”, perchè ho ben presente quanto faccia schifo stare a casa in attesa di un donatore di lavoro. Ma essere carini sempre per pura pietà va bene, solo non va bene 300 volte al giorno, è deprimente. Quello che all’inizio dicevo con spontaneità e entusiasmo, con sincerità e comprensione ora è sempre la stessa frase stantia che suona vuota e falsa.
Lavorare così è pesante, è svilente e non è per niente figo.
La vita di ognuno di noi è piena di piccole miserie, almeno al lavoro voglio scialare, voglio poter pensare un minimo in grande.
E, sì, lo so, a scuola non c’hanno manco la carta igienica per pulirsi l’ano, lo so. Ma qui è il privato, qui questi cercano maldestramente di ammonticchiare capitali, non c’è nulla di nobile, nessuna velleità educativa.
Io voglio immolarmi per otto ore al giorno alla grande de dello spendi&spandi: l’immagine aziendale.
Basta morti de fame, basta fatture insolute, basta insulti per poche centinaia di euro, basta ragionare sempre da miserabili. Che due palle.
Meglio ricchi che poveri, mi spiace, ma da qui non se scappa.
Lo sporco capitalismo ce lo siamo preso, farà anche schifo, però godiamocelo.

A me lavorare coi poracci fa schifo, questa è la verità.
Ridatemi i politici corrotti, ridatemi i caccia che scoreggiano il tricolore, ridatemi i musei, sono Bionda, ridatemi le mie maledettissime fontane di cioccolato.

NESSUNO SI SALVA DA SOLO

Ho già detto che il Pd non mi piace?
Ho già detto che quelli lì non li voto?
Ho già detto che è un partito che ha più contraddizioni che princìpi?
Ecco, quasi tutti i miei amici e molte delle persone che stimo hanno votato Pd. Spinti da motivazioni che, a chiacchiere, sono pure molto valide. E io li capisco benissimo, ché la situazione è vera-veramente tragica e uno a qualche certezza, anche di merda, si deve attaccare.
I temi di queste elezioni sono stati principalmente due: onestà e svecchiamento. Il Pd ce prova e non ce prova, ce riesce e non ce riesce. Una botta al cerchio con Penati e una alla botte con Vendola, una botta al cerchio con D’Alema e la Bindi e una alla botte con Puppato e Renzi. E poi le primarie, che “è na cosa bbella” [cit.] , da cui se ne esce con un nulla di fatto: Bersani c’era e Bersani c’è. E poi tutti quelli che “…e ma se c’era Renzi” a cui mi viene da rispondere “se c’era Renzi non c’eravate voi, perché avete votato Bersani e mo ve tocca, statece”. Comunque ci provano e sono sempre meno peggio del Pdl, perdono e manco s’arrabbiano, comme d’habitude. E poi lo svecchiamento, in un’Italia vecchia e marcia, può passare per tanti canali, primo fra tutti il ringiovanimento.
In finale, per dirla alla romana, le chiacchiere stanno a zero, quello che conta sono i fatti. Poi certo, ci sono contenuti di comunicazione in appositi spazi di relazione [cit. GRGA] e io ci godo a vedere che cavolo si inventa la gente incompetente. Avendo lavorato per qualche tempo in comunicazione ed eventi penso a quanto lavoro ci sia dietro alle campagne di marchétting, quante proposte, quante idee, quanti tentativi e quante previsioni! Ma nella politica italiana i risultati sono, in ordine casuale: Berlusca e la finta lettera per la restituzione dell’Imu,  “Sconfiggeremo il cancro in tre anni” a cui si poteva rispondere solo con “se mi nonno c’ea tre rote era n carretto”, “si può fare”, “adesso!” e altri scopiazzamenti più o meno ridicoli di campagne meglio riuscite e meglio studiate negli Steitz.
Poi mi è venuto in mente che ogni volta che  vedo in giro una roba assurda con un prezzo più assurdo (tipo aifon5) e dico qualcosa, il Primate mi risponde saggio “questo è un  bene, perché bisogna separare i soldi dai cretini”.
E quindi io vi faccio vedere come si separano i due euro dai Piddini:

LA GENEALOGIA CHE NON TI ASPETTI

Non so come ma mi seguono. I figli di Mazzinga, intendo.
Nello Zoo di Testaccio lavoravo per gli amici dei colleghi dei parenti dei conoscenti degli zii dei simpatizzanti di, ma qui a Milano no. Quindi quando a Roma arrivò la figlia di Mazzinga non mi stupii, qui a Milano invece sì. E il bello è che qui invece è arrivata la famiglia Mazzinga al gran completo. Innanzitutto io lavoro per Mazzinga padre che s’è subito portato dietro sua figlia per prendere il posto che era stato pensato per me. Poi è arrivato il Socio di Mazzinga che s’è portato dietro il figliastro. E’ un po’ che penso a come rinominarlo ma onestamente ho poca fantasia…penso che lo chiamerò il PerfettoCoglione.
PerfettoCoglione è un benestante figlio di una élite monetaria lateromilanese, sta per prendere (con calma) la laurea specialistica in un ambito umanistico, è di altezza media e sottopeso in maniera tragica. Per dire, tra le costole gli si vede la pelle che si muove al ritmo del battito cardiaco. Arriva sempre vestito di grigino, ginz grigini, olstar grigine, una camicetta di marca ma un po’ stropicciata, un maglioncino di marca ma sempre stropicciato, la pelle tra il grigio e il giallo uovo, capelli neri come la pece. Zaino in spalla e cuffie giganti alle orecchie, si aggira per la città tamburellando le dita al ritmo della sua musica alternativa sparata a palla dall’aifonquattresse, si definisce così un dendi, un ipster, un alternativo, uno diverso dagli altri, un filosofo. In due parole: un PerfettoCoglione.
Nella vita desidera l’indipendenza, vuole prendersi le sue responsabilità, vuole vivere da solo, vuole amare una sola donna, vuole vivere veramente, vuole andare a vivere a Parigi e aprire un ristorante boemien. Infatti si è fatto mettere nello stipendificio, fa un partaim di 3 ore giornaliere in cui passa a lamentarsi con me dello stipendio, sta su internet a guardare siti di conferenze a cui poi non va, compra alla Ricordi libri di filosofia che non legge e viene a dirmi che il suo nuovo autore preferito, che proprio gli ha cambiato la vita, è Baricco. Lo conosco da meno di sei mesi, lui mi pensa la sua vecchia guru pur avendo solo tre anni meno di me, e si è sentito libero di confessarmi che non ha fatto sesso per dieci mesi consecutivi perché pensava alla ex, mi ha messo a parte di tutte le sue aspirazioni: giornalista, traduttore, ristoratore, rappresentante commerciale e, non ultimo, atleta di triatlon. Si sente sempre in tempo a cominciare una nuova strada che non comincia, un po’ animo maledetto da questa famiglia ricca e borghese, PerfettoCoglione ha fatto il cameriere per protesta. Ma poi per sicurezza ha smesso.
Insomma, morale della favola, PerfettoCoglione me lo ritrovo tutte le mattine davanti con questa faccina da barboncino bastonato che mi chiede se voglio un caffè che puntualmente faccio io per entrambi. Mi racconta scanzonato e fintoinsoddisfatto la sua vita e mi fa una grandissima pena, i suoi venticinque anni vissuti con la profondità di uno stipetto del Mondoconvenienza, la sua filosofia alla UilliPasini ma più banale.
Ovviamente sul lavoro non sa fare nulla, sbaglia persino a compilare il foglio presenze, però si dice padroneggi – causa Erasmus – la lingua d’oltralpe. Ed è per questo che faccio io qualunque tipo di traduzione, da quelle commerciali a quelle legali a quelle di “si è inceppata la ventola del tender”, proprio perché lui e il francese sono una cosa sola.
In uno dei miei impeti montessoriani lo esorto a tradurre due righe due di una comunicazione di servizio. La guardiamo insieme, la traduciamo a voce insieme e lo mando alla sua scrivania a mettere per iscritto le quattro paroline. Mi chiama all’interno, la ripetiamo, aspetto la mail. Mi richiama per sicurezza. Poi mi arriva la sua mail con la premessa “me la correggi per favore?”. Sento proprio l’ictus che arriva. Inspiro, espiro, inspiro, espiro. Alzo lo sguardo verso il cielo ma mi si blocca a metà: alla porta c’è lui, PerfettoCoglione, che vuole che gli spieghi qualcosa come “distinti saluti”. Io mi metto a ridere e do lezione di lingua straniera.
Lui tutto contento mi guarda e fa:
– Frangia madonna come sei brava tu…
– A fare cosa,caro?
– Con noi, hai tutta questa pazienza, sempre, non so come fai…davvero..
Lo guardo, sorrido gentile e carina, sguardo da suora missionaria
– Mi pagano.

ZAN-ZAN!

DEFIBRILLATORE!

Il mio blog non è morto. E’ in coma reversibile.

Ne uscirà non appena imparerò a gestire i cambiamenti avvenuti nella mia esistenza terrena attuale: l’avvento del blecberri, il cambio di scrivania, la passata finta crisi col Primate.

Se avessi avuto tempo e modo, ecco i post che avrei scritto in questo mese passato:

Frangianaizer: tempi, modi e parole della mia promozione al lavoro. Istruzioni su come incasinare anche una scrivania grande il doppio, come essere messi a parte dei segreti aziendali senza fare la faccia scarfagnata

Ischia col bene che ti voglio: uichend alle terme ischitane con tutta la famiglia Liscia. Nota di merito a mia nonna che si compra un costume leopardato e Cugino Boro che commenta “a no’, te fa ‘n ber culo sto costume!”

Perizoma in carta mon amour: portare il Primate alla scoperta delle gioie dell’hammam. Sentirlo guaire come un’aragosta nell’acqua bollente. Vederlo resistere nel bagno turco dai 7 ai 10 secondi massimo, il tutto con pantaloncini fiorati. Scorgere l’assistente che ci porge gentilmente dei perizomi in carta (bianco e rosa per lei, nero per lui) e vedere Primate perplesso, schifato, vergognoso e molto imbarazzato (“Amore cos’è sta ricchionata?” “E’ per andare a fare il massaggio” “NON ESISTE!”)

GRGA non si smentisce mai: quando qualcuno ti conferma che il matrimonio è la tomba della passione. E tu smetti convinta di guardare i cataloghi di Atelier Aimée.

Cronache dal fronte dei cuori infranti e riappiccicati su con l’attac: la Sirenotta e la neverendistori con Avvocatucci, Amica Umbra e Enigma che programmano pomiciate a pagamento, Coinquilina Altissima e Tacsidraiver il Nano che non s’è capito perché non copulano. Ovvero: se vogliamo che tutto resti com’è, tutto resta com’è.

Aria di Primavera a Maison Dourange: dopo il Primate non s’erano avvistasti altri uomini trombanti a casa nostra. Eccisisbagliava, cissi. Infatti ad allietare le nottate di Marchigiana Montante è giunto Mascalzone Latino, guaglione guascone fedifrago e con mutanda rossa che ha rapito l’inespugnabile cuoricino di Marchigiana.

Aggiungi un posto a tavola: o anche “Dei tentativi disperati di accoppiare amici del Primate e amiche mie” tipo il Sensibilone e la Scoppiata, il Doppiuccello e la Sirenotta.

La favola di Frangia e Primate: la mia vita di coppia corre a briglie sciolte nei prati sterminati della felicità, da oggi con più uichend nei boschi, con più coccole al mio gatto senza denti, con più spettacoli dei Momix, con più drink stordenti di Trastevere e anche di Piazza Castello, con più pizza ai porcini e peperoni a colazione, con più proposte di viaggi a sospresa tramite .pdf, con più lacrimucce di litigio e di gioia, con più orchidee, più cinema di corsa per non perdere l’aereo, con più visita notturna alla Camera dei Deputati, più osservazione ammirata dei pargoli altrui, molti ma molti più baci e anche con molta più stitichezza.

Questioni di primaria importanza: amiche che, per motivi molto diversi, mi comunicano il loro saccheggio di Intimissimi. Colei che vuole sedurre l’ammeregano e colei che vuole intortare uno che l’ha intortata da un pezzo. Il tutto tramite il gran potere della mutanda.

Le poulet est arrivé: e anche lo Zoo di Testaccio finalmente vede l’arrivo di tre figure mitologiche in una: stagista/maschio/omosessuale. Ora sì che quest’agenzia di comunicazione si può dire al completo.

 

Insomma, questo e un po’ d’altro nei miei ultimi tempi. Sicuramente qualcosa mi è sfuggito ma nessuno lo saprà mai. Se Splinder me lo permettesse, poi, metterei anche delle foto ma la tecnologia ha deciso, a differenza del grasso superfluo, di non essermi vicina.

 In attesa di tempi (e basta) ve saludos.

DIETRO A UN PORTONE C’è SEMPRE UN CONTATORE DEL GAS

Turn away, turn away, close your eyes
you can runaway.
It’s not enough.

 I see the lights through the rain, oh tonight
but they never change.
So what is love?

 

Quando la vita è una scatola piena di cioccolatini e tu ti abbuffi vuol dire che sì, sei una persona che si butta appieno nel fuoco dell’esistenza ma, sì, sei anche una persona con la cacarella.
Insomma, ci ho messo un po’ a riprendermi, sono diventata di un colore molto estivo: giallo sole.
Dell’abbronzatura nessuna traccia, del mare nessun profumo. Io dell’estate ho solo i capelli sfibrati.
Ma la mia esistenza ha preso una svolta. Ebbene, sono stata convocata da CapaMagna e CapaSgobbona, mi sono seduta e mi sono sentita dire quanto sono e brava, e veloce, e produttiva e…sì, mi rinnovano l’ingaggio di schiavitù. Non si sa a quanto e per quanto ma sì, resterò qui, nello Zoo di Testaccio.
E quindi, savasandir, mi serve una casa a Roma. La terza in un anno. Cioè.
Siccome anche AmicaUmbra e MarchigianaMontante erano alla ricerca di una fissa dimora, abbiamo deciso di mettere su un bisinis. Ovvero: io e AmicaUmbra, a spasso sull’Umbromobile, abbiamo trovato un appartamento centrale, grandicello ma vuoto. Abbiamo messo insieme le nostre indigenze e stabilito di ammobiliarlo. Era la cosa più conveniente e quindi via per tutta la capitale alla ricerca di una cucina wenghè e un tavolo faggio e una madia del Settecento. Che ve lo dico a fare. In qualunque caso, sappiatelo, la gente vi regala per due soldi un topolino e dei mobili fighi. Basta chiedere, davvero.
Tutto questo gran daffare mi toglie un sacco di energie e mi ricarica allo stesso tempo, ho più voglia di uscire, di vedere gente, di chiacchierare di ante e piastrelle.
Nzomma una sera preparo un incontro tra LaSirenotta (reduce da una bella scottata con Avvocatucci e le sue fioriture da cervo a Primavera) e ErCapitano. Costui è giovane, bello, simpatico, romano, alla mano, colto…insomma: un figo da paura che cammina a panza in fuori e culo in fuori. E Sirenotta ha tanto, ma tanto, bisogno di un po’ di sana gioventù. ErCapitano mi manda un messaggio “Ciao Cacona, ti aspetto in piazza con un amico e un limone”. Ecco, aveva davvero un limone. Io avevo altre due amiche. E il suo amico, per la cronaca, è BassoMaBono.
Quello che doveva essere un gelato in piazzetta si trasforma in una sangria sul lungotevere, una caipirosca [al pescionfruit, n.d.a.] con schiantino a Piazza Trilussa, un rum a Campo ‘de Fiori e poi, che fai, non prendi er moito mejo de Roma? Va detto che io odio il moito, ma quello era davvero buono. E dentro aveva una fragola e un lampone e una mora. Io mangio la frutta di BassoMaBono, mi giro e vedo Sirenotta che fa al Capitano “Capitano…la vuoi la mia mora? Ti do la mia mora…” Ecco, queste sono le cose per cui vale davvero la pena vivere.
Rientriamo alle tre e mezza, ubriachi marci. Io vado a letto e comincio a fare le bolle [cit.] come un CristalBol. Due ore dopo mi alzo, mi doccio, vomito  e vado al lavoro come niente fosse.
La Sirenotta ha una faccia da reduce del Vietnam ma, come sempre, ci distinguiamo in produttività e alitosi.
Arriva giovedì sera. E giovedì gnocchi. Invece no, giovedì Calormediorientale. Ebbene, era a Roma, dopo due anni abbondanti che non lo vedevo. Inutile negare che la cosa un po’ mi emozionava. Metto una camicia bianca, un semplice paio di ginz e dei sandaletti bassi blu. Mangiamo una pizza con un suo socio, lo molliamo in albergo e facciamo quattro passi. Parliamo, le sue donne, il suo lavoro, i miei impicci. Mi abbraccia.
E io quella sera più che mai mi sono resa conto che ci sono delle cose che, davvero, finchè non ti capitano, non sai cosa vogliano dire. Tra queste possiamo enumerare:
– andare a vivere via da casa (e non dite “e ma io a casa faccio tutto”, non vuol dire niente)
– rasarsi i capelli (una volta sono arrivata all’orecchio e poi ho smesso, per dire)
– andare in coma etilico (no comment)
– incontrare a distanza di molto tempo la più grande passione della tua vita.
In quel momento lo sai che la tua vita è un’altra, che senza lui vivi benissimo e viceversa, però il tempo si ferma un attimo, si cristallizza. Chissà com’è possibile che persone tanto unite e tanto intime arrivino ad essere così distanti.
Una cosa che forse non salta subito all’occhio quando si osserva CMO è la sua capacità di dire in modo semplice delle cose complicatissime da spiegare. Una su tutte “quando una cosa la butti fuori, esterna a te, ormai è fuori, non ti fa più niente, ma se sei costretto a mandarla giù, quella rimane giù e se scavi la trovi lì, come l’hai lasciata”.
E insomma passo la nottata completamente in bianco. Mi lavo la faccia, arrivo in ufficio in stile molto zaambè-ae-ae [cit. onestamente molto bella] con due ore di sonno all’attivo del giorno prima. Molto bene.
Ma fosse questo il problema, sarebbe un nonnulla. Mentre ero a passeggio con CMO, questi sentiva sete e quindi si fermava ad acquistare dell’acqua. Nel contempo io, in attesa davanti al baretto, tiravo fuori il cellulare e controllavo eventuali chiamate o essemmesse. Manco a dirlo, un messaggetto. Bancario? No. Grga? Nisba. Ebbene sì, Lui.
E tutti coloro i quali pensavano che con la proposta dell’Ichea avesse toccato il fondo, beh, cari miei, vi sbagliavate. Eccone le prove:
Hola, come va? Io sono ad O. (puglia) per due impianti con T. Energia e XXX (francesi). Te come stai tutto bene? Baci!
Facciamo un po’ di analisi sintattico-lessicale: “Hola” e già non ci siamo. Poi mi racconta del suo lavoro, ecchemenefrecammè? E, in ultimo, la perla del pronome personale oggetto al posto del soggetto. Uggesù.
Insomma, morale della cosa, non gli rispondo. Non per questo evito di domandarmi che cavolo abbia nella testa insieme al truciolato dell’Ichea.
E adesso sono in ufficio da sola, le colleghe sono all’estero e mi è appena passato a trovare Grga.
Forse quando Marchigiana Montante mi dice che c’è troppo passato nel mio presente, non ha tutti i torti.
La stessa Marchigiana Montante mi ha presa sabato e portata nelle Marche per la prima volta in vita mia. Sono sbucata al ristorante durante la cena della nostra ex-coinquilina, vestita da cameriera. Commozione, risate, taglieri di formaggi, ravioloni ai porcini, Madeira, crema catalana. E poi tutti a ballare in un posto fighissimo detto Passetto di Ancona, una specie di discoteca lungomare megagalattica con tanto di drink ufficiale delle discoteche al mare: il ginlemon annacquato. Io, in realtà, essendo in zona limitrofa, speravo di incontrare FabriFibra monamur. Nada, ma l’anconetano è pieno di fighi. Che parlano come pecorari, ma boni.
In qualunque caso: a ottobre c’è la mega festa di inaugurazione della Frangia’s Mansion. Siete invitati in molti (Tomada, ovviamente, deve venire in incognito, ormai non lo voglio conoscere), vi sarà permesso l’ingresso solo se in possesso di un accessorio Ichea il cui nome contenga allo stesso tempo una O sbarrata e tre K.

 

PIETRE VERDI DI BAHIA, AL TIMONE LA FOLLIA

Questa assenza pesa più a me che ai miei (ormai) sparuti lettori, lo posso assicurare.
Nzomma come al solito me ne combinano peggio di Carlo in Francia (modalità vecchia profe delle medie on).
Potrei cominciare a raccontare di quando la Figlia di Mazzinga si è bellamente fatta un cannone alle undici di mattina in ufficio. E poi, alle solite, si è appisolata con una mano al maus e una all’aifon viola coi brilluccichini.
Potrei continuare con l’episodio del Bancario che mi scarica senza batter ciglio dicendomi che tanto tra noi non può funzionare e, al mio pianto nghé nghé, si è presentato con una palet di fard cotti Scianel che scanzete!
Sarebbe degno di nota anche l’episodio in cui incontro la mamma di Bancario che si è appena scolata un gelatino alla grappa. E mi parla, mi parla, mi parla. Il gelato doveva essere davvero forte considerando che il suo commento è stato “è una ragazza semplice e spontanea”. Ho rischiato la paresi da sorriso forzato in quei sette-otto minuti in cui tenevo la pancia in dentro.
E che dire dell’agente immobiliare superboro che mi mostra l’appartamento della vita insieme a AmicaUmbra e MarchigianaMontante? In pratica vorrei cambiare casa, vorrei avere un contratto di affitto in regola per la prima volta in vita mia, quattro stanze da arredare. E sono incappata in un annuncio mediamente banale che ha rivelato un appartamento in centro bellissimo, vuoto e nemmeno da svenarsi.  Ne ho parlato con le mie dirigenti: la prima mi ha detto che sarebbero stati molto interessati a rinnovarmi il contratto “qualora io fossi stata d’accordo”. La seconda ha detto che me lo diranno a fine luglio.
E quindi tutti i chilometri macinati in quel del Mondo Convenienza –ah la cui forza è il prezzo –oh si sono trasformati in quintali e quintali di inutili madonne –eh.
E devo pure trovarmi un nuovo lavoro…e che ci vuole “in questo paese ricco di opportunità per i giovani” [cit.]!
Ma insomma…passiamo alla ciccia. Grga si è sposato. Sì. Lo so, è dura anche per me.
E mi invita con messaggini email superliminali a passare nel suo ufficio. E io ci vado. Mi apparecchio mediamente a dovere, con quel tanto di finto spontaneo che va sempre bene. AmicaUmbra mi fa i capelli mossi, una camicia azzurra, un ginz (tagliaquarantaaa), una bella cinta scamosciata di quelle che ci giri dentro venti volte, un sandalone tacco dieci marrone scamosciato molto clessi. Perle a pioggia, es iusciual.
Il suo ufficio è molto bello, molto in centro, con una vista molto panoramica, molto disordinato e mediamente puzzolente di pipa. Lui ha dei mocassini neri di pelle vomitevolmente harvardiani.
Mi fa vedere la fede, faccio una facciaccia. Se la toglie.
Mi dice che mi sono cresciuti i capelli e che mi stanno bene. Li sfiora.
Mi porge un succo alla pera. Beve dell’acqua leggermente frizzante.
Mi fa vedere una foto del matrimonio. No comment.
Mi racconta del suo addio al celibato in compagnia della moglie. Sì, l’ho pensato anche io.
Mi trova in gran forma, dice. Ma sono sopra i cinquanta, ahimé.
Mi dice che se mi incontrasse per strada. Gli dico che siamo nel suo ufficio, invece.
Mi dice che se a cena illo tempore non notò la spocciatura, adesso nota bene.
Mi chiede di sedermi sulla sua gamba per leggere una cosa al pc. Deglutisco e resto in piedi.
Mi tira il fiocchetto della cinta. Si apre.
Gli faccio notare che è sposato. Per lui non è un problema. Figurarsi per me.
Vede il colore del mio reggiseno [carta da zucchero, n.d.a.]. Chiede se è appaiato. Lo è.
Usciamo dall’ufficio. Saliamo in ascensore. Mi guarda il culo ma non allunga le mani. Ahimé.
Ci salutiamo e prendiamo due taxi. Arrivo al Colosseo e arriva il suo messaggino.
Torno a casa, scendo dalle scarpe. Mi chiama il Bancario perché gli manco.
E io capisco tutto, i valori, la fiducia, l’affetto, i trucchi di Scianel. Ma certe volte anche la mia fedeltà è messa a dura prova.
E comunque riandremo a cena.

 

CHI NON LAVOLA NON FA L’ AMOLE

Dunque, lo so che è un sacco che non scrivo ma nella mia vita non succede niente di interessante. O meglio, lavoro come una cinese in cambio di un salario cinese e, nel tempo libero, ho la febbre a trentanove. A Giugno. Per questo motivo annullo i miei appuntamenti con Grga per i quali avevo previsto un tubino blu che non perdona, costringo Bancario a farmi da mamma e guardo Rai1. Insomma: la situazione è veramente drammatica.
A tutto ciò si aggiunge che mi hanno tolto dall’ufficio la grande fonte di ispirazione, la Figlia di Mazzinga. No, non l’hanno licenziata – e quando mai? – anzi. L’hanno spostata in ufficio con La Sirenotta.
 Pe falla corta e pe falla breve, in questa valle di lacrime e muco, pochi eventi assurgono alla loro funzione di spinta motivazionale al non suicidio.
Il primo, ad esempio, è l’azione recente di quell’ominide numerico che è il Bancario. E’ arrivato venerdì sera a casa mia visto che sabato lavoravo (nella Repubblica Cinese di Testaccio, si riposa solo la domenica e solo se si è allettati e deliranti) e mi ha porto, con la sua solita faccia da bambino contento, un pacchettino. Rosso. Marchiato Feltrinelli. Ecchelera? Il libro di Spinoza.it. Inutile dire che il Bancario ha intercettato quel leggero senso di frustrazione che ha provocato in me la mancata partecipazione alla presentazione del libro a Roma a soli 800 metri da casa mia. Perché non ci sono andata? Ndovinate. Apro, c’è la dedica “in questo momento hai bisogno di ridere e di qualcosa che ti ricordi me, guarda in fondo al pacchetto”, nzomma così pare una cosa smielatina gné gné gné. Invece no, in fondo alla bustina c’è un piccolo parallelepipedo lungo e stretto e col fiocco. Questo:

 

diorshow

 

Mi state invidiando, vi capisco.
Ma l’altro grande avvenimento che ha movimentato il mio percorso sul pianeta terra è stata una scoperta di questa mattina. Vagavo per il sito di PortaPortese alla ricerca di una casa da affittare (prima o poi racconterò l’epopea di LaFrangia e Marchigiana VS LaVecchia) a Roma. Tanto che ci sto giretto anche un po’ nella sezione mobilia perché la dovrò anche arredare con tre lire sta futura casa in affitto. Guardo in alto e vedo anche la sezione “Messaggi”. Chissà cos’è. Clicco. Ah ah. Annunci zozzetti per signori e signorine.
Mi soffermo un attimo sulle tipologie:
C’è il normoannuncio seguito da una casella imeil quantomeno discutibile:
A DONNA intelligenteserena che come me cerca buona e riservata amicizia. Ti immagino 45enne magra elegante femminile semplice e leale. Scrivimi 1 email sono un 50enne sentimentale colto educato che ancora si emoziona! cucciolo49m@******.it 
C’è l’annuncio con offerta:
AGOSTO vacanza al mareoffro a max 35enne carina spigliata femminile libera di muoversi.sono 47enne interessante.necessaria conoscenza preventiva
Ripenso un attimo a quando facevo l’accompagnatrice turistica. E a quanti modi ci sono di vivere questa professione.
Quelli belli trasgressivi:
COPPIETTA 32enne vorrebbeconoscere altre coppie pari requisiti anagrafici…no sms no anonimi
Dulcis in fundo:
31ENNE proveniente da comunita'psichiatrica con auto e lavoro propri cerca donna comprensiva e dolce per amicizia e altro
Adesso, fermiamoci un attimo a riflettere. Quando si deve conquistare qualcuno, a maggior ragione con tre righe, qual è la prima cosa che viene in mente? Ovvio: stavo in una comunità psichiatrica. E per ricominciare una vita normale metto un annuncio su PortaPortese. A quanto pare la comunità psichiatrica di cui sopra ha chiuso per fallimento.
Poi però io sono una donna, mi soffermo sui particolari, do attenzione a cose che, agli occhi degli altri, sembrano insignificanti. Un annuncino che, di primo acchitto non ha niente di speciale ma che, a un’attenta analisi, rivelerà meraviglie:
Copincollo dal sito:
STUPENDO ragazzo 41 enne cerca bella ragazza da qualsiasi parte del mondo con fisico attraente. per amicizia e piu. e-mail: *****@****.**
Nota bene l’aggettivo iniziale: stu-pen-do.
E adesso guardate la foto abbinata.

stupendo

Roba che ti viene voglia di buttarti dalla rupe lì dietro.
 

LA FIGLIA DI MAZZINGA

Ultimamente, sul posto della mia donazione di lavoro, c'è un sacco da fare. Abbiamo un sacco di scadenze, di consegne da ultimare, di bus navette da organizzare, di aerei e pulmini da concertare. Nzomma, ci facciamo un culo come un secchio. Ovviamente in proporzioni del tutto sproporzionate. Adesso, poi, ricomincia pure quella fase terribile che le mie superiori amano chiamare ricol, praticamente si mette in piedi un vero e proprio col senter di qualità che invece che scassare la minchia alla casalinga di Voghera e di Tiburtina, la scassa all'ambasciatore e al console e al direttore e all'amministratore.
Indipercui si sono aperte le assunzioni: dopo due progettini miserrimi a Romantica e Riccia, capaci studentesse di materie umanistiche che tentano invano di campare di ricerca e sbarcano il lunario presso lo zoo di Testaccio, si è proceduto all'assunzione di una terza ragazza secondo il metodo classico: la raccomandazione.
Non so chi è, mi dice Bisissima che è la prima a sapere la novella. Dicono che ce l'hanno imposta da livelli altissimi. Io la guardo con fare scrutante come a intimarle di sputare lo stagno pieno di rospi che porta in gola e poi alzo le sopracciglia strappate di fresco, classico mio atteggiamento indifferente che non tradisce affatto la mia pettegolaggine radicata nel profondo del cuore.
Aggiunge di sua sponte che la mandano da molto in alto, dalla faccia sconvolta deve fare di cognome Padreterno. Io, tra me e me e tra me e Sirenotta, mi chiedo come mai una spinta da Gesucristo debba venire a lavorare allo zoo di Testaccio. Rimango coi miei dubbi in tasca fino a ieri mattina, quand'è arrivata La Figlia di Mazzinga [cit.].
Sono io ad aprirle la porta. Ebbene, anche voi come me sarete vittime del pregiudizio sulle figlie di papà romane. Cioè, pensateci, le figlie di papà romane sono una categoria a parte, sono come tutte le figlie di papà del mondo ma, in più, so daa capitale. Le trovate stanziali nei soliti cinque locali, si vestono tutte negli stessi cinque negozi, hanno tutte la smart dei soliti cinque colori, vanno tutte nelle solite cinque palestre, fumano tutte le stesse cinque marche di sigarette. Le si distingue da pochi caratteri distintivi: la megabeg di Vuitton (e si devono vederei i loghi, chiaro), cinque-otto-undicimila braccialetti d'argento a catenella di Tiffany, le foto del cane di piccola taglia sul cellulare, i ginz a sigaretta, i capelli lunghi con o senza estenscion, uno stuolo di amiche dai nomi assonanti a Doda, Pupi, Cici, Mimi, Nuni, Pata, Lale, Trilla, Milli e tutto quello che vi viene in mente basta che sia un bisillabo.
Nzomma, dicevo, apro la porta alle nove e dieci. E noi entriamo alle nove. Ed è il suo primo giorno di lavoro.
Mi si para davanti l'ultima cosa che potessi immaginare. Esatto: cosa. La descrizione abbisogna di essere moooooolto dettagliata. Parto dai piedi: zeppe in sughero, nere, spuntate, col fiocchetto. In sughero, cioè. Calza a rete nera. Già voglio morire. Pantaloni neri a mezza caviglia, un incrocio malriuscito tra un pinocchietto e un capri. Ma cosa si vuole sperare quando si incrociano Bossi e la Binetti? Ecco, questo sono i suoi pantaloni. Una maglietta nera, una specie di lungoscaldacuore grigio e un giacchino nero. Fin qui niente di speciale, almeno nella parte superiore del corpo. Ok, porta appese al collo delle perle finte, ma ha pur sempre 21 anni, ancora non sa, non capisce.
Una cosa non ho ancora detto, ed è di vitale importanza: La Figlia di Mazzinga è una bora. Per i non romani: è una coatta, una truzza, una tamarra, na cafona, na burina, na mezza gabber. Eh sì, sì, ha delle velleità da pancabbestia. E' la Kat Von Dee de noantri, la nostra amata Figlia di Mazzinga. Di primo acchitto scorgo dei capelli con sfumatura alla nuca e frangia a metà fronte, dritterrima, tinti neri con mesc alle orecchie bianche. Uggesù, cavatemi gli occhi. Un pirzing in piena guancia, dove sul mio tenero visino di bimba bionda si staglia una dolcissima fossetta. Gli espansori a entrambe le orecchie di almeno due centimetri e mezzo (se non sapete cosa siano gli espansori siete davvero ma davvero dei vecchi che girano per blog), il pirzing alla base del collo (sì, lì!) e basta. Poi, per un attimo si toglie la giacca e dal golfino traspaiono due braccia completamente tatuate, dai polsi alle scapole. O madonna, vi prego ditemi che è venuta con una Harley, vi scongiuro. Invece no, è venuta con la sua bella Ciuno parcheggiata sulla rampa dei disabili. Quanta civiltà tutta in una sola bora.
Non vi dico del pirzing che ha in mezzo alle tette perchè altrimenti mi vi impressionate.
Occhei, su, l'ho pensato anche io di me stessa: sono una sciocca superficiale che si ferma alle apparenze.
E invece no, perchè io con La Figlia di Mazzinga ho pure provato a parlare. Ma non ci capiamo; beh, la buona volontà c'è da entrambe le parti, il problema è che parliamo lingue diverse. Io mi esprimo nel mio italiano stentato con cadenza umbra e un po' romana, lei invece padroneggia il Ciancichese. Praticamente comunica coi versi che fa ciancicando la gomma da masticare. Ne escono come tipo: "come va?" "aggghngg ggiggg". Cioè, mica è facile.
Vabbè, magari non è una che ama parlare, sarà una persona pratica. Come no. Ha qualche difficoltà a digitare la chiocciola sulla tastiera e si impanica di fronte al segno =. Vabbè, sarà emozionata. Come no. Sarà per questo che mentre Riccia le spiega come usare il sistema di gestione, lei spugnetta il telefonino. Sono tutti gesti che tradiscono senza ombra di dubbio l'emozione del primo giorno di lavoro. Ok, lei ecsel non l'ha mai usato. E manco Autluc. E manco Uord. Però sa subito digitare http://www.facebook.com e rimane basita di fronte alla connessione filtrata. Questa è chiaramente ansia da primo giorno. Allora Ossetta si mette lì con calma e cerca di comunicarle che i fail ecsel non sono manifestazioni di entità metafisiche, che le cellette non si colorano così a darci prova di un dio onnipotente. E lei, interessatissima, chiude gli occhi e dorme.
Non scherzo, mi venissero le doppiepunte sui peli del culo se scherzo.
Tu le parli e La Figlia di Mazzinga sta lì, immobile, come una Sfinx, occhi chiusi e mani alla tastiera. Un gatto di marmo.
Non ci volevo credere. E' troppo troppo troppo assurdo. Cioè, già non me la vedevo alle fiere a dire bellapettè a Bagnasco. Però pure dormire in ufficio il secondo giorno di lavoro…signori miei, questa è una fuoriclasse. Una così ti fa rivalutare come non mai Anacapita.

da “I DIARI DELLA PROSTATA” un brano scelto dal titolo “FERMATE IL VECCHIETTO!”[cit.]

Nzomma può anche accadere che uno arrivi a giovedì come se fosse venerdì: stanco, stufo, che barba e che noia [cit. reverenziale]
Che magari torni a casa alle sette e mezza di sera e gli sembri di aver spalato in miniera tutto il santo giorno e invece stava solo spalando fail ecsel. Capita.
Però, se questo "uno" è una bionda ventiseienne procace, che fa? Si lamenta? Ennò che non si lamente. Punta tutto sulle certezze della vita: il pettegolezzo.
Quindi, bando alle ciance, fiato alle trombe: La Sirenotta e Avvocatucci. Ve li ricordate? Lei bonazzona mia coetanea tuttatette e lui facoltoso quasicinquantenne dello studio accanto. A Parioli.
Qui, a beneficio di comprensione, va data una spiega (uelà, testina): questi due, per abitudine passano insieme il venerdì sera. Il programma della serata è fisso: cena in un bel ristorante, tutti (e due) a casa di lui (l'ormai nota Villa Arzilla), treminutitrè di gloria mascolina, pennichella e poi ognuno a casa sua. Per sette mesi. Tutti i santi venerdì compreso il venerdì santo. Capirete pure voi che a un certo punto stufa. Comunque le cene sono piacevoli e Villa Arzilla è scicchissima e accogliente, riabilitata alla vita di un singol abbiente di città: marmi bianchi, stucchi, lenzuola di pregio.
Comunque, succede (ormai un mesetto e mezzo fa) che, di venerdì, ci si appresti a svolgere il programma nella sua interezza. Cena, chiacchiere, vino, casa di lui, treminutitrè con tanto di tirata di capelli, mutanda bianca col bottoncino di lui e sonnacchietto. Si fanno le cinque di mattina, si alzano, lui va in bagno, si veste. Poi tocca a lei, si riveste, si mette la giacca e si prepara a lasciare Villa Arzilla. Passa in bagno a lavarsi le mani e, toh! Sul lavandino marmoreo algido che trova? Una poscettona nera di Scianel. Piena di trucchi.
Messo da parte l'istinto cleptomane, la mia cara Sirenotta di accorge che non sono i suoi. Molto bene.
Va di là, e dopo aver fatto notare la strana materializzazione a Avvocatucci, si sente rispondere "non sono miei!".
Insomma, senza girarci tanto intorno: lui fa l'amante della sua ex moglie.
Cioè, io credevo di poter dire la mia in merito alle relazioni extraconiugali, ma qui siamo proprio a livelli inarrivabili. Mi esimo dal giudizio.
In pratica lui aveva ritenuto normalissimo avere relazioni al di fuori di questa frequentazione fissa e La Sirenotta ha passato almeno un paio di settimane senza dormire, ammazzandosi di cioccolato, chiedendosi perchè e per come. Lui niente, manco le scuse.
Fino a che…noi partiamo per lo zoo di Testaccio. E lui manda una meil collettiva a tutto il nostro ufficio dicendosi dispiaciuto di non vederci più in giro.
La Sirenotta, paziente ormai da più di mese, non regge e lo chiama. Lui fa lo gnorri (dimmerda) e le parla come niente fosse. Poi le manda un messaggino per dirle che pensa a lei durante un convegno.
Poi la chiama. E qui viene il bello. Allora come stai e come non stai, allora il nuovo ufficio, allora il lavoro come procede, allora quella mostra l'hai vista…baggianate, fuffa, zero ciccia.
Poi comincia a parlare di sé: e adesso ho da fare questa cosa, adesso quell'altra, da quando non ci si frequenta più la mia vita ha subito un peggioramento (pareva un discorso sulle quotazioni in borsa) e gné gné gné.
A un certo punto, però, il dialogo si fa interessante, pare che Avvocatucci voglia entrare sul personale, tornare nelle grazie della Sirenotta, in una parola: riconquistarla.
– ti ricordi quella visita che feci…quegli accertamenti?
– aehm…sì (e torna in mente quel discorso sulla prostata)
– beh, sai, sono stato dal medico…
– ah, tutto bene?
– sì sì, anzi, meglio, mi ha dato un farmaco, mi ha subito fatto pensare a te, sai mi sento molto meglio…molto attivo!
– ah…come mai? (perplessità amica mia)
– si chiama "Sirenottase", pensa!
La mattina dopo, manco a dirlo, tutto ciò viene riferito a me che, modestia a parte, sono la Scerlocolms de noantri. Faccio una digitata su gugol e scopro che le indicazioni terapeutiche del Sirenottase sono: stati maniacali, demenza, oligofrenia, psicopatia, schizofrenia acuta e cronica, alcoolismo, disordini di personalità di tipo compulsivo, paranoide, istrionico. Deliri ed allucinazioni in caso di: schizofrenia acuta e cronica, paranoia, confusione mentale acuta, alcoolismo, ipocondriasi, disordini di personalità di tipo paranoide, schizoide, schizotipico, antisociale, alcuni casi di tipo borderline. Movimenti coreiformi. Agitazione, aggressività e reazioni di fuga in soggetti anziani. Turbe caratteriali e comportamentali dell’infanzia. Tics e balbuzie. Vomito.Singhiozzo.
Adesso, si sa, il singhiozzo è nel 2000 quello che l'aids fu negli anni Ottanta. Se Freddi Mercuri è morto così, auspicabilmente Bill Kaulitz perirà di singhiozzo, o di movimenti coreiformi.
E io penso che un mondo in cui un uomo per riconquistare la tua fi…ducia ti parla di prostata e psicofarmaci, è un mondo difficile.

QUI UN TEMPO ERA TUTTA CAMPAGNA, aka NOI RAGAZZE DELLO ZOO DI TESTACCIO

Addio, addio, addio, addio ai Parioli.
Quante volte l’ho sognato, questo momento. Addio ai viali alberati pieni di pollini, addio ai palazzi boriosi e barocchi, addio alle colf indiane in giro coi cani delle padrone troppo impegnate per spassarseli alle 8 del mattino, addio ai baristi silenziosi, gentili e impiccioni come delle vecchiette di una piazzetta di paese. Addio al caffè a un euro e venti, al cornetto integrale più unto della storia, a quel tragitto di sette chilometri che durava almeno un’ora. Addio ai commenti da scaricatore di porto fatti da gente travestita da avvocato facoltoso, addio alla buganvil, al micio alla finestra. Addio al vecchietto che raccoglie cicca per cicca tutti i mozziconi del vialetto, addio al ragazzo del bar che mi dice di vivere nello scantinato di un palazzo bene “do’ ce tengono i filippini”.
Addio pure alla signora che gestiva il bar, sempre in tiro, con gli orecchini in plastica azzurra, la frangetta passibile di condono, i ginz troppo aderenti per la sua età, al suo sguardo malinconico mentre racconta di quando lavorava nel cinema. Probabilmente portava panini, ma erano panini da diva. Addio a cosce d’acciaio, coi suoi occhialini gialli e le sue chiappe scultoree nel completo grigio. Insomma, addio agli ultimi cinque mesi.
Ma soprattutto: benvenuto Testaccio.
Ebbene, lo zoo s’è trasferito, con immenso gaudio delle cape. Sono soddisfazioni, ci stiamo ingrandendo, abbiamo nuovi incarichi, nuove responsabilità e quindi anche una nuova sede.
Tra le varie novità si possono annoverare: Bisissima che mi dirige (nonostante abbia la padronanza tanto dell’italiano quanto dell’inglese pari alla mia dell’ingegneria aerospaziale), la cassetta delle lettere zeppa di minacce tra vicini, la vecchia pazza in vestaglia di pail che si aggira nel cortile del palazzo, la tizia mora con le mesc arancio che si parla con l’altra mora con le mesc fucsia, il bar di Quarcheduno di fronte.
Quarcheduno meriterebbe un post tutto per sé: sembra la caricatura di un film di Verdone. Capelli rasati ai lati, ciuffa da burino riccia che manco un pornoattore dei migliori anni Ottanta, tatuaggi vari ed eventuali inneggianti alla Maggica e ar Pupone. Il tutto innaffiato dal caffè più schifoso del globo terracqueo. Ma Quarcheduno è amico della Capa Magna (le cape sono due, una lavora e l’altra ha i soldi, Capa Magna non è quella che lavora), lei coi suoi villini in centro e le sue borse di Balenziaga, lei e i suoi amici tatuati coi bar.
Ma insomma, la nuova sede è più bella, più luminosa, più spaziosa, più pulita. Più tutto. E quindi noi dobbiamo gioire appresso alle cape: e quanto scola bene i piatti lo scolapiatti, e quanto scrive blu questa penna blu, e quanto sono pratici i separé tra una scrivania e l’altra pure se non si sente una minchia a parlarsi tra colleghe, e quanto è bella la vista sulla parete di cemento armato muschiato ché il verde -si sa- aiuta la concentrazione, e quanto sono belli tutti questi negozi, che bella la vetrina del GS e del cinese, che buona questa pizza bisunta a soli sette euri al pezzo,e cosa dire del meraviglioso punto di marrone questa merda di cane secca?
E guai a mostrare non dico disappunto, ma almeno una normoreazione. E io dovrei anche gioire del filtro internet con cui non vedo manco il Corriere della Sera e del fatto di essere sola solissima in ufficio con Bisissima.
Ma in tempi di crisi, con la disoccupazione alle stelle, bisogna anche rendere grazie di avere un’occupazione, indipendentemente dal fatto che la persona di ruolo superiore al tuo faccia le interviu, sia bisi, ti chieda rimainder, dia adito (“a cosa?” “dovevamo dare adito! Dare adito!”), chieda in merito a viaggi (“chiedere cosa?” “chiedere in merito! al viaggio!”), decida la polisi, refresci, beggi, mecci, cecchi, ciargi.